Guerra Civile!

GUERRA CIVILE NEL MODENESE

 

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 Guerra Civile

  

I SETTE FRATELLI CERVI - I SETTE FRATELLI GOVONI

 Nei primissimi tempi della guerra civile la Provincia di Modena rimase, par alcuni mesi, fuori dall'occhio del ciclone, mentre episodi d’intolleranza, agguati, uccisioni e vendette si andavano via via intensificando, in tutto il Nord Italia.

Nelle Provincie vicine alla nostra, Reggio Emilia, Bologna e Ferrara accaddero sin dalla caduta del regime fascista e negli ultimi mesi del 1943, gravi episodi.

In seguito, molte azioni della guerriglia partigiana s’intersecarono con quelle della nostra Provincia e ne vedremo gli sviluppi nella parte dedicata alla cronaca.

Due fatti, avvenuti nelle Provincie limitrofe, per la loro tragicità e per la loro rilevanza, sono stati talmente rappresentativi da assurgere a simbolo dell’aberrazione della lotta fratricida in quanto si pongono, l'uno all'inizio della drammatica spirale d’odio e di vendette, il secondo a guerra ultimata, nell'allucinante periodo nel quale i "vincitori" si diedero alla "mattanza" dei perdenti.

Si tratta dei sette fratelli Cervi uccisi dai fascisti a Campegine di Reggio Emilia il 28 Dicembre 1943 e dei sette fratelli Govoni, uccisi dai partigiani a Pieve di Cento, l'11 Maggio 1945.

Questi due episodi, analoghi per la loro spietatezza e ferocia, per la stessa collocazione ambientale in cui avvennero e per l'identica fine di due gruppi familiari così numerosi, avrebbero dovuto avere per la memoria storica degli italiani, la stessa identica posizione e la medesima commemorazione. Nell'arco di quasi cinquanta anni tutto questo non è avvenuto: i primi sette fratelli sono assurti ad "emblemi" della resistenza, monumenti eretti alla loro memoria, libri ed articoli pubblicati in occasione delle celebrazioni annuali, la loro casa trasformata in museo storico, ecc.; i secondi sono stati sistematicamente ignorati come se loro vite non fossero mai esistite, totalmente cancellati dai resocontisti di regime: "Vae victis".

Esaminiamo, dunque, questi due tragici fatti, attraverso le ricerche storiografiche che sono state condotte nel passato; tante per i primi, una sola per i secondi.(1)

 I SETTE FRATELLI CERVI

 Sull'uccisione dei fratelli Cervi esiste una vastissima letteratura, sia di tipo celebrazionistico sia maggiormente introspettiva e a quelle rimandiamo il lettore che volesse ulteriormente documentarsi.

Nella stessa letteratura resistenziale esistono interpretazioni estremamente contrastanti che andremo ad esaminare assieme alle valutazioni di parte fascista che, a nostro parere, assumono un valore d’estrema importanza, per le precise e circostanziate accuse alla componente comunista, che non sono mai state confutate, sul com’è stato gestito, a quei tempi, l'affare Cervi, a prescindere dalla reale responsabilità materiale di parte fascista nella fucilazione dei sette fratelli.

Da come siamo stati abituati, dalla fine della guerra ad oggi, a forme di celebrazionismo incensatorie di tutti i fatti della resistenza, compreso quello dei fratelli Cervi, è stato per noi, quanto meno inusuale e anticonformista quello che abbiamo trovato in alcuni testi resistenziali circa l'interpretazione che è data sul comportamento, nell'ambito dell'appena iniziata lotta partigiana, dei sette fratelli, che in realtà non si distacca, più di tanto, dalle interpretazioni di parte fascista che vedremo a seguire.

Secondo una tesi, che appare ben documentata, sembrerebbe che il partito comunista reggiano non condividesse per niente il metodo della guerriglia portata avanti da questi fratelli.

Ad una precisa domanda in merito, posta da uno storiografo della resistenza ad uno dei maggiori esponenti del PCI delle nostre zone, così è risposto:

 "E' importante un esame di quella formazione, perché era una formazione tipica come altre non potevano essere. La formazione, promossa e portata in montagna dai fratelli Cervi, rifuggiva da ogni disciplina e da ogni controllo del Comando generale; in altre parole era una formazione di carattere anarchico. Aldo Cervi mi dichiarava che si riteneva anarchico, rifiutava ogni organizzazione politica, pur sostenendo che il domani del paese era rappresentato dal p.c. il quale solo aveva idee chiare, un programma preciso ecc.... ma mai avrebbe potuto adattarsi a qualsiasi disciplina propria della dottrina comunista."(2)

 Un garibaldino russo, che faceva parte delle formazioni partigiane della zona e che scrisse un libro di memorie sulle sue avventure di partigiano(3), sostiene, al contrario, che accordo ci fu tra i Cervi ed il PC reggiano, ma la tesi è ugualmente contestata dal "commissario" partigiano sopra citato:

 "In ogni modo la testimonianza di Tarassov tende a sottolineare uno stretto collegamento fra il gruppo di Aldo Cervi e la federazione comunista di Reggio, tutt'altro che dimostrato dalle fonti."(4)

 L'ortodossia del Partito Comunista sembra aver fatto prevalere la tesi dell'accordo tra i partigiani Cervi, la federazione del p.c. ed il CLN.

Vi è dunque, all'interno della componente comunista, una valutazione differenziata dai cliché celebrazionistici, sull'operato dei Cervi; che poi, a distanza di tempo si sia creato un coro unanime per la creazione e la celebrazione del mito sul martirologio di quella famiglia, appare quanto meno evidente e comprensibile.

E' opportuno, però, prendere anche in considerazione le tesi di parte fascista la quale gettano una serie di ombre sull'operato del PCI reggiano e che non sono mai state seriamente controbattute.

I fratelli Cervi, già nel periodo di fulgore del fascismo, erano conosciuti per l'opinione politica di alcuni di loro, come dei convinti anarchici, ma in realtà non diedero mai delle serie preoccupazioni alle autorità costituite.(5)

Subito dopo l'8 Settembre 1943, si organizzarono, trasformando la loro casa di Campegine in base partigiana, organizzando colpi di mano ed ospitando prigionieri di guerra fuggitivi.

Questa loro attività andò avanti per un certo tempo, ma poi furono scoperti dalla polizia fascista anche come mandanti od autori di uccisioni di fascisti.(6)

I Cervi furono catturati il 25 Novembre 1943, ma va’ sottolineato un fatto assai importante. Due giorni prima, in una Caserma fascista, vi fu una riunione alla quale partecipò anche il Comandante della Milizia, Capitano Riccardo Cocconi, professore di lettere, segretario del fascio repubblicano di Campegine, località nella quale possedeva parecchi terreni e già a quel momento doppiogiochista; in quell'incontro vennero esaminate nei particolari, carte topografiche militari della zona di Campegine. Due giorni dopo vi fu l'attacco fascista, i Cervi si difesero con accanimento, ma furono costretti ad arrendersi.(7)

Dopo l'arresto nessuno parlò di fucilazione, e solamente due dei sette fratelli si dichiararono apertamente comunisti. E qui affiora il grosso interrogativo, riportato nella storiografia di parte fascista:

 "i comunisti non fecero nulla per salvare i sette Cervi, ma, anzi intensificarono l'azione dei Gap, ben sapendo che la reazione fascista avrebbe finito per abbattersi su alcuni o su tutti i componenti della famiglia Cervi detenuti nelle carceri di Reggio. L'unico che può fornire una risposta, anche se è prevedibile che non parlerà mai, è l'ex capitano della Milizia ed ex segretario del fascio di Campegine Riccardo Cocconi, oggi residente a Pavia dove lavora alle dipendenze della Olivetti. (anni "60, data della stesura della nota. N.d.r.)

Il Cocconi uno dei tre ufficiali che partecipò alla riunione nel corso della quale vennero verosimilmente messi a punto i particolari dell'azione che doveva portare alla cattura dei Cervi, gettò la maschera e rivelò le sue vere inclinazioni politiche pochi giorni dopo la riunione sopracitata. Dopo aver partecipato, in divisa della milizia, al prelevamento del Segretario del Fascio di un paese del modenese si diede alla macchia nella zona di Villa Minozzo e costituì il nucleo dal quale doveva poi sorgere la prima brigata "Garibaldi" operante nel reggiano. In seguito si venne a sapere che il Cocconi era già da tempo aderente al PCI".(8)

 Questo ex capitano della milizia, "infiltrato" sino al momento in cui venne scoperto, diventò poi, con il nominativo di "Miro", vicecomandante delle brigate comuniste e al termine della guerra fu anche viceprefetto di Reggio Emilia e potentissimo esponente del PCI.

Gli altri testimoni fascisti di quella riunione vennero fucilati nei giorni della liberazione. Vi furono dunque queste grosse responsabilità; vennero sacrificati i fratelli Cervi all'olocausto, per un tornaconto del p.c. ? E' difficile pensare di avere oggi una rivisitazione obiettiva di quei fatti che si allontani dagli stereotipi creati con l'appoggio di tutte le forze politiche.

Fu allora un’irrazionale ed inutile strage; i fratelli Cervi vennero uccisi, dopo una serie di attentati che culminarono con l'uccisione del Segretario fascista di Bagnolo in Piano; i più duri e facinorosi tra i fascisti volevano a tutti i costi la rappresaglia, malgrado che il Capo della Provincia di Reggio Emilia, Enzo Savorgnan(9), si rifiutasse di dare l'autorizzazione. Ma un tribunale speciale, composto tra i più estremisti del fascismo reggiano, decretò la morte che venne rapidamente eseguita; assieme ai sette fratelli, cadde anche un disertore fascista:

 "I setti Cervi e il Camurri furono fucilati al poligono di tiro. Il plotone di esecuzione era composto da venti militi della GNR. I condannati si comportarono con coraggio."(10)

 I SETTE FRATELLI GOVONI

 Le pagine dei libri di storia della resistenza sono piene dei fatti relativi ai fratelli Cervi; ogni anno, in occasione delle date storiche i giornali pubblicano articoli su articoli che fanno rivivere quel tragico avvenimento, rinfrescando la memoria degli italiani che, in genere, sono "facili a dimenticare", e per riproporre, con la solita monotona formula le aberranti "atrocità nazifasciste".

La casa dei fratelli Cervi, in quel di Campegine, trasformata in "museo della resistenza", il pellegrinaggio continuo di cittadini e di scolaresche colà convogliate dalle organizzazioni di partito predisposte, l'onore della visita di capi di stato, innumerevoli volumi pubblicati sulla vicenda, sono testimonianze che, come ha scritto l'ex Presidente della Repubblica Sandro Pertini, dimostrano come:

"nella storia dei Cervi si possa diventare antifascisti partendo dai valori più elementari ed essenziali: l'amore per l'uomo, il culto della famiglia, la passione per il lavoro dei campi."

In questa terra padana, altri sette fratelli contadini questi valori elementari li conoscevano nello stesso identico modo, anche loro avevano il culto della famiglia, la grande passione per il lavoro e sapevano amare gli uomini ma, purtroppo, erano schierati dalla parte opposta, erano dei "fascisti", di conseguenza i pennivendoli del regime non hanno mai scritto, né mai scriveranno alcuna riga a ricordo di sette contadini che, stranamente secondo certe teorie addomesticate, vestivano in "camicia nera".

I Govoni vivevano a non molti chilometri di distanza da Campegine e precisamente a Pieve di Cento, in Provincia di Bologna ai confini con le Provincie di Modena e Ferrara, paese immerso nella medesima grande campagna; sono stati barbaramente uccisi a guerra ultimata solamente perché due di loro avevano aderito alla RSI.

Di conseguenza, in questo paese, non sono stati eretti monumenti o musei, né per loro sono stati scritti ponderosi libri apologetici, qui, probabilmente la terra che lavoravano aveva un "humus" diverso dal reggiano, poiché né folle di cittadini, né scolaresche "intruppate", né Capi di Stato vengono convogliati a visitare questi luoghi di martirio, nessun segnale turistico indica "casa Govoni" e nemmeno sulla casa di campagna è stata posta una scritta che dice "su questa terra, in questa casa i sette fratelli Govoni vissero il senso della loro vita, su quest'aia vennero presi e portati a morte".

Forse lo stesso papa' Govoni era tanto diverso nella sua dimensione di padre mutilato delle sue sette creature, da vedersi rifiutato, in morte, un necrologio in commemorazione del secondo anniversario della sua scomparsa.(11)

Evidentemente tanto scomodo è questo ricordo alla Repubblica Italiana, nata dalla "resistenza".

E' forse stato meno coraggioso dell'altro disgraziato padre, nel portare avanti la sua esistenza con coraggio e con tenacia sino alla fine dei suoi giorni, senza riconoscimenti, o medaglie al valore, chiuso nel suo grande dolore?

11 Maggio 1945. La guerra è da poco finita, in una casa colonica tra Pieve di Cento ed Argelato vengono uccise, dopo orribili sevizie, 17 persone, tra queste, i sette fratelli Govoni. Come detto in questa località viveva una famiglia di contadini composta dal padre, Cesare Govoni, dalla madre, Caterina Gamberini e dai loro otto figli: il primogenito. Dino aveva 41 anni, sposato, due figli, artigiano falegname, era iscritto al Partito Fascista Repubblicano; il secondo, Marino, aveva 33 anni e anche lui aveva aderito alla RSI, nessuna accusa era mai stata portata nei loro confronti, terzogenita, Maria, che fu l'unica a salvarsi poiché, sposata si era trasferita ad Argelato con il marito e i partigiani non riuscirono a trovarla; seguivano: Emo, trentadue anni, viveva con i genitori e non si interessava di politica, così come Giuseppe, 30 anni sposato, anche lui faceva il contadino ed aveva un figlio di tre mesi, poi vi erano: Augusto, di 27 anni e Primo di 22 anni, celibi, lavoravano la terra con i genitori ed anche loro non si erano mai interessati di politica; l'ultimogenita si chiamava Ida, venti anni, appena sposata e madre di un bambino di due mesi, anche lei come il marito mai avevano svolto politica attiva.(12)

I dati e le circostanze riportate, scaturirono dalla sentenza con la quale l'8 Febbraio 1953, la Corte d'Assise di Bologna, condannò gli autori di quei massacri.

La strage dell' 11 Maggio 1945, venne preceduta da altri orrendi delitti individuali e di massa compiuti da una "banda" di partigiani che scorrazzava nella zona, con piena licenza di uccidere i fascisti.

Difatti, qualche giorno prima, molte altre persone vennero prelevate dalle loro case e portate in un isolato casolare di Voltareno di Argelato. Uno dei protagonisti, che era sfuggito alla cattura ed al massacro, vide parecchie cose e dopo un periodo di omertà forzata, parlò, provocando in quel modo l'intervento delle autorità.(13)

La sera del 9 Maggio vennero eliminate, dopo innumerevoli sevizie, dodici persone; si trattava della Professoressa Laura Emiliani di S. Pietro in Casale, dell'ex Podestà di San Pietro, Sisto Costa con la moglie Adelaide ed il figlio Vincenzo e dei cittadini di Pieve di Cento: Enrico Cavallini, Giuseppe Alberghetti, Dino Bonazzi, Guido Tartari, Ferdinando Melloni, Otello Moroni, Vanes Maccaferri e Augusto Zoccarato.

Il giorno seguente iniziò l'operazione di prelievo dei fratelli Govoni; il luogo del carcere e poi del supplizio fu una casa colonica di un contadino che, avendo avuto un figlio ucciso dai fascisti, doveva tenere la bocca chiusa per quello che sarebbe successo. Il primo ad essere prelevato fu Marino:

 "In realtà i partigiani contavano di arrestare, quella sera, tutti i fratelli Govoni. In casa, però trovarono solo Marino, il terzogenito. Gli altri, fatta eccezione per le due figlie che abitavano ormai altrove, erano tutti in giro per il paese. I più giovani si erano recati a ballare. I Govoni, infatti, non sospettavano lontanamente di essere già tutti in "lista". Nei giorni successivi all'arrivo delle truppe angloamericane erano stati convocati dal comando partigiano, interrogati e quindi rilasciati perchè a carico loro, non era emersa alcuna accusa. Il mancato prelevamento degli altri fratelli indusse i partigiani ad accelerare i tempi dell'azione nel timore di vedersi sfuggire le prede dalle mani.(14)

 Riuscirono così, nella notte, a raccogliere tutti gli altri fratelli compresa la giovane Ida, che implorava di non staccarla dalla bambina che doveva allattare, anzi presero anche il marito che poi venne scaricato dal camion che li trasportava, cammin facendo.

Vennero portati tutti in un grande camerone adibito a magazzino e subito:

 "su di loro cominciò a sfogarsi la ferocia dei partigiani".(15)

  Alla mattina successiva, altre 10 persone di San Giorgio in Piano furono condotte in quella prigione per condividere la sorte dei fratelli Govoni; erano andati tranquilli, poiché i partigiani avevano detto loro che si trattava di "comunicazioni" che li riguardavano, presso la caserma dei carabinieri, erano: Alberto Bonora, Cesarino Bonora e Ivo Bonora di 19 anni, nonno, figlio e nipote; Guido Pancaldi, Alberto Bonvicini, Giovanni Caliceti, Vinicio Testoni, Ugo Bonora, Guido Mattioli e Giacomo Malaguti. Tutte persone rispettate in paese per la loro onestà, ma con un difetto, erano anticomunisti. L'ultimo, anzi, aveva combattuto contro i tedeschi con l'esercito del Sud, ed era appena rientrato al paese.

Erano le ultime ore per i diciassette rinchiusi nel casolare di campagna e i registi di quel drammatico dramma di sangue si incaricarono di far confluire sul posto un buon gruppo di "comparse", della loro stessa specie, per compiere collettivamente un rituale sanguinario degno delle più orripilanti celebrazioni sataniche.

 "Si era sparsa, frattanto, tra i partigiani della 2° brigata Paolo e delle altre formazioni, la voce che stava per incominciare un "bella festa" nel podere di Emilio Grazia. Dapprima alla spicciolata, poi sempre più numerosi, i comunisti cominciarono a giungere alla casa colonica dove erano già prigionieri i sette Govoni. Non è possibile descrivere l'orrendo calvario degli sventurati fratelli. Tutti volevano vederli e, quel che è peggio, tutti volevano picchiarli: per ore e ore nello stanzone in cui i sette erano stati rinchiusi si svolse una bestiale sarabanda tra urla inumane, grida, imprecazioni. L'indagine condotta dalla Magistratura ha potuto aprire solo uno spiraglio sulla spaventosa verità di quelle ore. La ferrea legge dell'omertà instaurata dai comunisti nelle loro bande ha impedito che si potessero conoscere i nomi di quasi tutti coloro, e che furono decine, che quel pomeriggio seviziarono i sette fratelli Govoni."(16)

 Vi fu poi, una specie di interrogatorio, a base di maltrattamenti e sevizie, così dice la sentenza del vero tribunale. Nessuna delle vittime morì per colpi di arma da fuoco e quando molti anni dopo furono scoperti i corpi si accertò che quasi tutte le ossa degli uccisi presentavano fratture e incrinature. Le urla strazianti degli sventurati risuonarono per molte ore. Alle ore 23 del 11 Maggio tutto era finito. Poi ci fu, tra gli assassini, la spartizione degli oggetti d'oro delle vittime, mentre gli oggetti di scarso o di nessun valore furono buttati in un pozzo dove vennero rinvenuti mentre si svolgeva l'indagine istruttoria. I corpi delle diciassette vittime furono sepolti subito dopo in una fossa anticarro, non molto distante dalla casa colonica.(17)

Negli anni successivi silenzio assoluto. I genitori dei Govoni fecero una ricerca lunghissima e dolorosissima senza approdare a nulla. Nessuno parlava, tutti, in quelle zone vivevano nel terrore. La vecchia madre venne anche picchiata. Poi lentamente, si mosse la macchina della giustizia. Ma molti tra gli indiziati riuscirono ad espatriare con l'aiuto dell'organizzazione predisposta dal Partito Comunista, gli altri, pur essendo stati riconosciuti responsabili di quegli eccidi, di fronte alla giustizia che applicava le norme della amnistia Togliatti (18), furono sottoposti a giudizio esclusivamente per l'uccisione del militare che aveva combattuto con l'esercito del Sud e condannati; ma in seguito , il ricorso in Cassazione, le amnistie e i condoni giudiziari, rimisero in breve tempo, tutti i responsabili, in libertà. Ai due genitori, lo Stato Italiano, dopo molte perplessità, concesse una pensione di settemila lire:

 "mille lire per ogni figlio assassinato."(19)

 NOTE

 1    Le vicende dei fratelli Cervi vengono raccontate in numerosissime pubblicazioni della storiografia resistenziale ed alcune sono citate nella bibliografia: per i fratelli Covoni abbiamo trovato una ricostruzione solamente nella ponderosa opera di Giorgio Pisanò: "Storia della Guerra civile in Italia.

2    cfr. O. Poppi, a cura di L. Casali: "Il commissario" pag. 11.

3    cfr. A. Taravo: "Sui monti d'Italia-Memorie di un garibaldino russo".

4    cfr. O. Poppi, op. cit. pag. 15

5    cfr. G. Pisanò, op. cit. pag. 444 Vol. 1°

6    ibidem

7    ibidem

8    ibidem. Nella storiografia resistenziale, cfr. E. Gorrieri in: "La Repubblica di Montefiorino", pag. 107 n. 15, si sostiene che il Cocconi fosse rifugiato a Monteombraro di Zocca nella villa dell'Ing. Zozimo Marinelli, assieme ad altri partigiani e disertori fascisti, e dove si ebbe il primo grave fatto di sangue del modenese con l'uccisione del Segretario del PFR di Zocca, Vincenzo Minelli. cfr. nella cronaca, ivi, alla data del 27 Novembre 1943.

9    Il Capo della Provincia di Reggio Emilia, Enzo Savorgnan, venne fucilato nei giorni della "liberazione" a Varese; la moglie dichiarò che quando il marito apprese della notizia della fucilazione dei fratelli Cervi, si prese la testa tra le mani esclamando, "questo errore lo pagheremo caro".

10   cfr. G. Pisanò op. cit.

11   Il giornale che rifiutò il necrologio per Papà Govoni fu : "Il Resto del Carlino" nel mese di Aprile del 1980.

12   cfr. G. Pisanò op. cit. da pag. 1733 a pag. 1740.

13   ibidem

14   ibidem

15   ibidem

16   ibidem

17   ibidem

18   ivi, nel capitolo riguardante l'epurazione.

19   cfr. G. Pisanò, op. cit.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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