La storia della resistenza

GUERRA CIVILE NEL MODENESE

 

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 La storia della resistenza

 LA STORIA DELLA "RESISTENZA"

 Nell'esaminare la gran mole di materiale relativo all’epopea" partigiana, abbiamo potuto costatare quanto siano numerose le pubblicazioni che fanno riferimento a fatti ed episodi avvenuti nella nostra Provincia. Il Partito comunista locale, l’ANPI e molti enti del modenese, hanno contribuito, dal 1945 ad oggi, a creare una vastissima "letteratura".

Una mole incredibile di libri, riviste, saggi, documentazioni, distribuiti a larghe mani negli enti locali, nelle scuole, nelle strutture di partito in tutta la vasta organizzazione centrale e periferica del PCI modenese e genericamente in tutte le capillari ramificazioni di cellule ed aggregazioni varie della sinistra; distribuzione ovviamente forzata e gratuita poiché, tutte queste pubblicazioni anche se messe in vendita nelle librerie, ovviamente legate al carrozzone rosso, ben poco successo ha ottenuto come numero di copie vendute.(1)

Nel periodo iniziale tale quantità di carta stampata era quasi esclusivamente di parte comunista e di tipo smaccatamente apologetico; le altre forze politiche che avevano preso parte alla "resistenza", hanno inizialmente misconosciuto la loro, seppur modesta, partecipazione alla guerra partigiana, accusando, tra l'altro, molto spesso la componente rossa di misfatti ed atrocità; ma con il passare degli anni queste minoranze della guerriglia hanno cercato di far comprendere all'opinione pubblica che, in fondo, la lotta partigiana non doveva essere rivestita solamente dalle bandiere con falce e martello. Sono dovuto, ovviamente, arrampicarsi sugli specchi, ma sono ugualmente arrivate a pioggia una serie di libri e libercoli tendenti a valorizzare la presenza delle altre forze resistenziali nella guerra civile, anche se in realtà la risposta della storiografia comunista è sempre stata quantomeno critica e quasi sprezzante verso queste forze avendole accusate sempre d’inettitudine , di scarsa partecipazione, di modesta rilevanza nella "dura" battaglia condotta contro gli odiati nazi-fascisti.

E' anche vero che alle manifestazioni celebrative che per tutti questi anni hanno sommerso la nostra penisola, la partecipazione corale era ed è ancora quasi esclusivamente comunista ed i rappresentanti ufficiali dell'autorità costituita, nella maggioranza dei casi sono stati costretti, per la loro posizione, a partecipare più per dovere d’ufficio che per sentita devozione.

Tutto questo è servito a far capire a molti italiani, che non si sono lasciati fare il lavaggio del cervello di tipo sovietico, come si sono potuti formare , anche in tempi lontani, i miti più fantastici.

Cosa è stata dunque la resistenza?

Spiccano, in una prima analisi, due caratteristiche fondamentali: principalmente essa è stata voluta, ispirata e fomentata dalla coalizione russo-inglese-americana per i loro fini; in secondo luogo dal momento in cui è stata trasportata dagli uomini sul territorio, il merito (o per meglio dire il demerito) è quasi esclusivamente dei comunisti, che a quell'epoca ma ancora sino alla fine degli anni "80, dipendevano dagli ordini di Mosca.

Il disegno dell’imperialismo sovietico era di gran portata e travalicava gli stessi motivi contingenti, il traguardo della conquista di buona parte del mondo occidentale, per l'insipienza di molti politici inglesi e americani e per certe astuzie di Stalin, aveva la possibilità di rendersi concreto con l'aiuto delle quinte colonne, sparse nei vari paesi, come facilmente sarebbe potuto accadere anche nella nostra Italia.

Difatti tutte le penetrazioni comuniste al seguito degli eventi bellici, avvenuti in buona parte dei paesi dell'est europeo e che hanno portato al potere i fedelissimi del Cremlino, hanno avuto aspetti simili a quelli del perfezionamento della strategia del Partito Comunista nell’evolvere al massimo grado la guerra civile, secondo i teoremi del più tipico marxismo sovietico.

Per fare un riferimento storico, relativo agli avvenimenti di casa nostra, e non estremamente lontano nel tempo, si può risalire a quanto avvenne nella prima guerra mondiale. Nel 1917 i tedeschi rispedirono il rivoluzionario Lenin a Pietroburgo, all'interno del famoso vagone piombato, per aiutare la rivoluzione bolscevica onde minare dall'interno la resistenza nazionale russa e poter distogliere da quelle frontiere le forze necessarie a fronteggiare, sul fronte occidentale, gli attacchi d’inglesi, francesi e italiani.

Un aspetto analogo, pertanto, lo troviamo nell'Italia del crollo badogliano con la previsione di una situazione di conflittualità interna che si andava prevedendo con i tradimenti e le lotte intestine, scaturite nella bagarre della classe politica italiana con i tradimenti del 25 Luglio e dell'8 Settembre.

Gli alleati riportarono nel nostro paese quei capi comunisti, con alla testa Togliatti, fedele esecutore degli ordini di Stalin, sbarcato in un porto del meridione da una nave americana e che dall'esilio erano stati preparati a creare la sollevazione del paese a vantaggio dei disegni sovietici.

Infatti tutti i favori furono elargiti ai comunisti nella formazione dei vari Ministeri del Governo Italiano del Sud, vedi l’inserimento di Togliatti, Gullo, Scoccimarro ecc. In più il Commissario americano per la Lombardia diede istruzioni, ancora nell’immediato dopoguerra, al suo “Labour Officier”, Ten. Col. Thomas Fisher. che era professore all’Università di Siracuse(N.Y.), di affidare le cariche relative al lavoro ed alla mano d’opera, esclusivamente ad uomini del PCI. Lo stesso Fisher nel 1950, in una conferenza all’Accademia Americana di Scienze politiche, ebbe ad affermare che “se non fosse stato per quelle istruzioni, che egli deplorava vivamente, Togliatti e la comunista Confederazione Generale del lavoro non sarebbero così influenti come sono oggi.”(2)

In merito poi al carattere tipicamente comunista della resistenza in Italia, dimostrabile ormai storicamente da una serie di studi e prove, sarebbe opportuno che i partiti politici, che non presero parte attiva al massacro voluto dai rossi, prendessero finalmente le distanze in modo chiaro e definitivo.(3)

Già dalla "terza internazionale" di Lenin. l'obiettivo finale dell'Urss doveva essere la rivoluzione mondiale. Da quel tempo, tale obiettivo non è cambiato, anzi è sempre stato perseguito con gran determinazione e con tutti i mezzi possibili, palesi ed occulti, ancora negli anni 80, prima del crollo definitivo del colosso d'argilla comunista, ed in quest'ottica va’ collocata anche la guerra civile in Italia che, per i motivi della spartizione del bottino avvenuto a Yalta, non ha potuto vedere completamente riconosciuto lo sforzo dei comunisti italiani che avrebbero voluto la sovietizzazione del nostro territorio come invece avvenne per tanti paesi quali la Germania dell'Est, l'Estonia, la Lituania, la Lettonia, la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Romania, la Bulgaria e fuori dell’Europa negli anni successivi al termine della seconda guerra mondiale per, Cuba, Corea del Nord, Vietnam, Laos, Cambogia, Etiopia, Yemen, Afganistan, ecc. oltre ad aver installato quinte colonne , con i vari partiti comunisti, anche in tanti paesi del mondo libero.

L'Italia, in quel periodo, subì pertanto questa duplice pressione, ma quanti furono effettivamente gli uomini che cercarono di aiutare questo piano? Non si conosce esattamente il numero dei partigiani operanti durante le ostilità, anche se, secondo dati pubblicati dopo il conflitto dai servizi d’informazione alleati e mai smentiti, il totale delle forze partigiane combattenti in Italia Settentrionale, in data 1° Aprile 1945 ( cioè alla vigilia della conclusione della guerra ) ammontava a 89.492 uomini così distribuiti nelle varie regioni: Emilia - Romagna 13.670, Liguria 15.400, Piemonte 34.812, Lombardia 13.072, Veneto 12.538. Non è possibile precisare quanti fossero coloro che parteciparono ad azioni militari e quanti invece furono i semplici disertori che restarono nascosti sui monti e nei boschi.

E' stato solamente dopo il 25 Aprile che si ebbe l'inflazione dei partigiani che salirono a 200.000 sino a raggiungere il numero di 400.000 uomini, muniti di certificati di partigianeria, generosamente rilasciati e che a molti servirono a crearsi una nuova verginità per un successivo carrierismo politico.

Come poi fossero suddivisi tra i vari partiti resta ancora più difficile stabilirlo e in nessuna pubblicazione della resistenza si hanno dati attendibili circa la presenza numerica di comunisti, democristiani, socialisti ecc. Ma resta scontato un fatto, gli elementi dirigenti, quelli di maggior peso e che facevano il bello ed il cattivo tempo nei vari CLN, erano quasi esclusivamente comunisti, che operavano agli ordini di Mosca anche se stipendiati dagli anglo-americani.(4)

La Provincia di Modena, come vedremo, fu effettivamente in mano alla dirigenza comunista e le direttive in zona erano date dagli uomini di Longo, anche se a capo del CLN Nazionale, dopo aspre ed infinite discussioni era stato posto il Generale Raffaele Cadorna.(5)

Tutte le iniziative più eclatanti furono ideate e poste in atto dai comunisti, molto spesso contro l'opinione dei capi nominali della resistenza. L'attentato di Via Rasella, ad esempio, che provocò l'efferato eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma, fu preparato e svolto, nonostante gli ordini contrari del generale Armellini capo della resistenza clandestina in Roma, dai comunisti, Bentivegna, Calamandrei, e C. Se vogliamo esaminare quali fossero gli scopi della resistenza dobbiamo in ogni caso fare la netta distinzione tra quello che era il filone che seguiva le direttive degli alleati e ciò che invece perseguivano i comunisti. E inoltre, distinguere tra gli scopi che il movimento partigiano dichiarava di volere, quello che desideravano od auspicavano come fine ultimo e quelli che, in effetti, sono stati i risultati raggiunti.

E' evidente che gli alleati cercavano di far intervenire le truppe ribelli contro le forze armate tedesche e fasciste della RSI in modo da creare il maggior scompiglio possibile sabotando le retrovie, tagliando le comunicazioni, distruggendo depositi e quant'altro potesse portare danno alle forze militari impegnate sul fronte italiano.

Ciò che i partigiani, e in particolare i comunisti, andavano ricercando era molto più complesso; quello di combattere tedeschi e fascisti era ovviamente l'obbiettivo immediato ma lo scopo fondamentale era quello di preparare la rivoluzione comunista. Quello che interessava, di conseguenza, i partigiani rossi era eliminare il maggior numero d’italiani fascisti , e questo è stato fatto durante la guerra ma in modo particolarmente efferato al termine della stessa, poiché questi si stavano opponendo e si sarebbero opposti anche dopo, in modo veramente irriducibile , ad una presa del potere del comunismo; si spiegano dunque le stragi, iniziate con una miriade d’assassini individuali ed in seguito su scala più vasta, tale da poter parlare di un vero e proprio genocidio di fascisti, a guerra ultimata, in tutta l'Italia Settentrionale.

Ma vediamo di analizzare ciò che la resistenza ha raggiunto, gli scopi e i metodi che ha perseguito e quali obbiettivi ha obbiettivamente realizzato. Prima di entrare nel merito di quest’interpretazione è importante una premessa che prende lo spunto da uno scritto apparso sul "Giornale Nuovo" a firma del giornalista Alberto Li Gobbi, proveniente da una famiglia antifascista che ha dato alla resistenza due medaglie d'oro, una delle quali alla memoria, circa una rivisitazione del fenomeno "resistenza".

Commentando un intervento del Generale Rambaldi, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, ad una conferenza tenutasi a Milano nel mese di Novembre del 1980, circa la presenza della Nato e della sua dottrina, il giornalista Li Gobbi, si avventura in considerazioni, quanto meno audaci per quei tempi, e riguardanti il ridimensionamento della Resistenza in Italia.

Questo Capo di Stato Maggiore sosteneva in quella conferenza la validità della formula Nato per contrastare la forte pressione russa verso l'Europa, controbattendo le teorie di coloro che avrebbero voluto vedere, in Italia, svilupparsi il concetto della cosiddetta "difesa territoriale" detta anche di tipo iugoslavo; difesa che dovrebbe essere effettuata da eserciti regionali o "rurali", mediante la guerra di guerriglia.

Questo tipo d’esercito e questo tipo di difesa potrebbero essere molto vantaggiosi per le future reclute e per le rispettive famiglie, in tempo di pace, ed anche in tempo di guerra, ma per il nemico, al quale queste teorie aprirebbero, gratuitamente, le porte di casa: alla domanda posta in quell'incontro: "Come mai, generale, ha speso tante parole per controbattere una teoria evidentemente assurda e suicida come quella di lasciare invadere con tanta generosità, il nostro paese, per poter poi spezzare le reni al nemico con la guerra di guerriglia?" il Generale Rambaldi ha così risposto:

 " La teoria della yugoslavizzazione della difesa nazionale, anche se di impossibile e pericolosissima attuazione è molto dannosa per le forze armate perchè genera in molte future reclute il dubbio che i sacrifici loro richiesti siano in gran parte inutili e dovuti solo ai capricci dei generali e della Nato. Tale teoria và quindi combattuta a fondo con tutti i mezzi come falsa e bugiarda."

 A questo punto il giornalista Li Gobbi pone questa domanda che riportiamo integralmente:

 " Signor Generale, premesso che io concordo al cento per cento, con quanto da Lei detto, perché non ricorriamo alla Storia, per controbattere nelle scuole e nelle famiglie e nell'opinione pubblica questa perniciosa teoria? Certo che per far questo occorrerebbe incominciare a ridimensionare e a smitizzare la cosiddetta "resistenza" riportandola, se ancora possibile, nei suoi giusti e pur grandi limiti e valori reali. "Resistenza" che ai giovani d'oggi, che non l'hanno vissuta, può apparire ingiustamente come un toccasana per tutti i mali e per tutte le salse. Come mio contributo a questa, da molti auspicata campagna ridimensionatrice e quindi rivalutatrice della vera resistenza (alla quale la mia famiglia ha partecipato guadagnandosi due medaglie d'oro al valor militare), vorrei ricordare che nessun popolo è mai riuscito a liberarsi dall'invasore con la guerriglia senza l'aiuto determinante di eserciti stranieri. Nemmeno la Yugoslavia e tantomeno l'Italia."(7)

 Quando mai, malgrado siano passati tanti anni, si riuscirà a rivisitare in tutta chiarezza il periodo della guerra civile fuori dalle strumentalizzazioni di parte e fuori dai falsi peana apologetici che hanno completamente stravolto la verità storica e della quale le giovani generazioni conoscono solamente una facciata della medaglia? Il nostro è un tentativo di far conoscere, almeno per il territorio della Provincia di Modena, quei fatti che sono stati o totalmente nascosti o, in molti casi, completamente stravolti dalla storiografia resistenziale. Speriamo che altri e più autorevoli storici possano mettersi alla ricerca della verità in modo da poter arrivare ad un più equilibrato e veritiero giudizio storico.

Vediamo a questo punto qual è stata la conquista rivoluzionaria della lotta partigiana al termine della guerra. Per quanto riguarda la lotta contro i tedeschi e la RSI potrebbe sembrare, a prima vista, che abbia raggiunto il suo scopo, almeno quello apparente: i tedeschi sono stati cacciati dall'Italia e la Repubblica Fascista è caduta. Ma questo risultato fu dovuto esclusivamente al merito delle immense forze delle truppe "alleate" che erano dotate di mezzi illimitati, forniti loro dall'industria americana che, lontano dal fronte, senza subire attacchi di sorta poteva produrre incessantemente ogni tipo di arma da buttare sul fronte europeo; ma in realtà il contributo partigiano, malgrado sia stato fatto credere sino ad oggi il contrario, è stato semplicemente marginale.

I comandi militari britannici, pur lodando ufficialmente per ragioni politiche, il movimento partigiano, in colloqui privati affermavano che questi avevano servito ben poco. Le truppe tedesche, avranno sì avuto danni e difficoltà da parte di queste bande armate, ma in realtà non hanno impiegato contro di loro che reparti di seconda linea: la stessa repubblica di Montefiorino, sulla quale si è fatta tanta pubblicità, fu sbaragliata in poco tempo da modesti reparti italo-tedeschi e su questa valutazione concordano ormai alcuni tra i più seri storici della resistenza. Forse l'unico risultato si è ottenuto nel tenere impegnati alcuni reparti della Repubblica Sociale Italiana che avrebbero potuto essere impiegati, come tanti altri ( vedi le gesta eroiche compiute sul fronte di Anzio e di Nettuno , in Venezia Giulia, da reparti della X Mas e dai bersaglieri) sul vero fronte di guerra e che invece furono costretti a combattere sul fronte interno contro fratelli che li affrontavano in agguati ed attentati, creando quel clima di odio e di vendette che ancora, a distanza di tanti decenni incancrenisce il vivere civile.

In quanto agli scopi rivoluzionari ed al raggiungimento del potere programmato dai partigiani rossi ben poco è stato realizzato.

Il traguardo del governo comunista non è mai stato raggiunto, (solamente in questi ultimi tempi, con camuffamenti vari e con l’aiuto degli ex componenti del CLN e di ex nemici sono arrivati a raggiungere quello scopo cercato a tutti costi con la violenza e con il sangue nel periodo della guerra civile e negli anni immediatamente successivi) anche se i singoli comunisti hanno potuto occupare dal dopoguerra ad oggi centri di potere regionali e locali che sono serviti a creare loro invidiabili condizioni economiche e ad essere invischiati in tutto il marciume delle ruberie dei partiti del cosiddetto arco costituzionale di questi ultimi anni, ma tutto questo non aveva niente a che vedere con le teorie del marxismo e con il passaggio del potere alla classe operaia, come sono sempre andati predicando sino al momento dell'annientamento e dell'auto-dissolvimento del comunismo internazionale, avendo in pratica aiutato il capitalismo e lasciandosi completamente fagocitare da questo.

Dalla fine della guerra sino agli anni 90 si era instaurato in Italia un regime democristiano, con moltissime pecche, debolezze e contraddizioni, ma che è restato al potere per tanto tempo proprio perché la maggioranza del popolo italiano non ha mai voluto accettare l'alternativa comunista, anche se la corruttela e l’inefficienza di tanti governi democristiani e socialisti hanno dato la possibilità, specie attorno agli anni 70 ai comunisti, di conquistare maggior peso nella vita politica italiana fino a raggiungere la conquista del governo, come abbiamo detto, nel 1998 senza avere avuto, come nella tradizione comunista, il vero successo elettorale in quanto la maggioranza del popolo italiano ancora non è comunista.

Ma un movimento che si considerava rivoluzionario e che riesce solo marginalmente nel suo intento professato e fondamentalmente per opera di altre forze, che, detto per inciso, dichiarava di voler strenuamente combattere, e non riesce in ciò che realmente mirava, deve considerarsi del tutto fallito. Difatti non ha creato le istituzioni delle quali era impregnata l’ideologia marxista, ha fatto solamente da supporto al capitalismo imperante e sostanzialmente ha creato quella situazione di enorme difficoltà in cui si dibatte la politica e l'economia italiana di questi anni.

Quanto la sinistra abbia accusato questa mancata realizzazione, anche quando vedeva sempre più allontanarsi le speranze createsi in certi anni nel contesto di semisfacelo della civiltà occidentale in genere, ma in modo particolare del pianeta Italia, lo confermano gli scritti di tanti "autorevoli" personaggi del mondo marxista, quali G. Bocca , Pasolini, ecc. Ma anche nella descrizione degli stessi uomini della sinistra fatta in film autobiografici del tipo de "La Terrazza", litigando negli anni del terrorismo sugli "album di famiglia" nel tentativo di analizzare quel fenomeno, tentando di indagare sulla posizione ideologica dei "brigatisti rossi" che, in ultima analisi, hanno portato avanti tutto ciò che i padri putativi della resistenza hanno sostenuto e difeso per tanti anni e che fondamentalmente questi hanno insegnato ai loro epigoni dei cosiddetti "anni di piombo".

L'arroganza e la protervia dei "resistenti" è stata elargita a piene mani a tanti giovani delle generazioni ultime: solamente pochi anni orsono succedevano nel nostro territorio episodi degni della Russia stalinista: ne citiamo uno tra i tanti.

Alcuni anni fa’, un insegnante anticonformista, ma pur sempre rispettoso dei limiti imposti dalla libertà d'insegnamento, tentò, dietro richiesta degli stessi alunni, di fare un analisi della Resistenza (il fatto successe in una terza media a Sassuolo), sostenendo la tesi che l'Italia era stata liberata dagli alleati e non dai partigiani e che il fenomeno del terrorismo rosso poteva essere collegato al filone della resistenza; successe il finimondo. Un’allieva, figlia del Sindaco comunista di Sassuolo riportò a casa le considerazioni fatte dall’insegnante, e si scatenò il putiferio: esposto al Provveditorato agli Studi, attacchi a non finire sulla stampa in modo tale da creare enormi difficoltà all'insegnante.(8)

Questo era il clima di persecuzione e di linciaggio che si viveva e che purtroppo si vive ancora oggi, a chi si azzardava o si azzarda a fare valutazioni fuori dagli schematismi farisaici di un certo potere tanto da venire accusati di lesa resistenza. E' doveroso, di conseguenza, affrontare il problema di come la storia della resistenza sia entrata, o abbia cercato di entrare, nella cultura contemporanea. Il conformismo anzi il manicheismo con cui la si vuole far passare per storia "tout court" lascia alquanto perplessi tutti i veri storici proprio per una mancanza totale di qualsiasi dibattito e per la carenza di una controrisposta adeguata e non solamente di parte, alle tesi degli autori resistenziali.(9)

Tutti gli storiografi sanno che affrontare il problema di un buon insegnamento della storia stessa è cosa estremamente difficile e oltremodo complessa. Eppure, di questo breve periodo della storia italica si è arrivati a valutarla in un’iperbolica ideologizzazione lasciandola in un contesto etico-politico ed in una dimensione che viene sempre più semplificata e nello stesso tempo portata avanti dai mass-media, attraverso gli ingegnosi e sofisticati sistemi di tutta "l'industria della cultura" che assopisce qualsiasi intelletto, in quanto non lascia spazio ad una critica obbiettiva, dando inoltre per scontati risultati non criticamente posseduti. Nella quasi totalità, gli storiografi della resistenza sono rimasti ad una normalizzazione acritica, sono caduti in un’iterazione meccanica di formule stantie e fideistiche, cadendo inoltre in valutazioni aprioristiche del più smaccato servilismo nei confronti della parte vincente.(10)

Abbiamo esaminato gran parte delle storie "resistenziali", di queste, moltissime sono basate su testimonianze orali sulle quali sono poi stati ampiamente commentati fatti e avvenimenti del modenese negli anni 43-45.(11) Nella quasi totalità sono state pubblicate dalle associazioni partigiane e in nessun caso abbiamo potuto constatare testimonianze espresse da chi si trovava nel campo opposto.

Ma riguardo a queste fonti è bene sottolineare come la maggioranza degli storici concordi nel ritenere la testimonianza orale uno dei tanti mezzi di cui servirsi per una buon’indagine di un determinato periodo storico, in quanto, la formula una volta in uso di fare storia solo sulla base di documenti è in parte superata. Ma che poi, di queste testimonianze se ne faccia un abuso per verificare e documentare è altrettanto modo falsato di fare della storia.

Non è possibile, come in molti casi è stato fatto da autori locali, sostenere un privilegio assoluto alla fonte orale e usarla in modo indiscriminato per avvalorare fatti e determinate tesi. Si può notare che, in molte di queste pubblicazioni, le testimonianze sono state raccolte in tempi recenti, a distanza perciò di parecchi decenni da quegli avvenimenti. E' abbastanza evidente che, per ciascuna di queste, per quanto veritiere e vicine al pensiero di chi le ha vissute, sono, quanto meno, inficiate dal tempo trascorso; e in più, quali sono i meccanismi di scelta in questi testimoni per narrare quello che può essere o non essere interessante? E fino a che punto il funzionamento della memoria può soccorrere la veridicità di un episodio? Quanto di condizionante vi è nella dimensione psicologica di un individuo nell'appartenere ad una classe sociale o ad un altra, dell'ambiente familiare e sociale in cui vive, delle influenze avute nelle letture, nei commenti e nelle scelte di fondo di queste persone? Nel fare una raccolta di tali testimonianze si rimane pur sempre in dimensioni molto ristrette e il senso della storia è limitato a piccoli episodi che, pur restando, nella migliore delle ipotesi, il più veritieri possibile, non entrano quasi mai nell'analisi o nella ricerca della controtestimonianza, poiché è pur vero che di ogni fatto si può avere anche il rovescio della medaglia(12).

E' altrettanto dimostrato, dalla maggioranza degli storici, che la quasi totalità dei fatti della storia giungono a noi "impuri", arrivano sempre riflessi dal cervello di chi li registra. Sarebbe pertanto opportuno, per buona parte della storiografia resistenziale, occuparsi in primo luogo dello storico, poi analizzare i fatti che prende in esame. E' evidente che la maggioranza di questi autori basa le proprie argomentazioni più su aspetti ideologici che sul piano scientifico; risultano, di conseguenza, delle "interpretazioni" storiche e pertanto una storia ideologica più che un’interpretazione storico-scientifica quale in realtà si dovrebbe fare. Si dovrebbero prendere maggiormente in considerazione scienze come, la psicologia, l'economia, la sociologia nello studio delle varie motivazioni che possono aver spinto, attraverso determinate scelte, gli uomini di quel periodo a schierarsi su l'uno o su l'altro dei versanti della guerra civile. Si nota invece una falsa interpretazione della sociologia e dell'economia, in funzione di scelte politiche attuali, da parte dello storico resistenziale, a sostegno ovviamente di tesi ideologiche e settarie precostituite. Non è ancora stato aperto un dibattito serio e libero dagli odi di parte, per uno studio approfondito ed il più possibile distaccato da interpretazioni volutamente "partigiane".

Quando un fenomeno storico può essere spiegato in un modo, deve necessariamente poter essere spiegato in un altro modo(13).

Per questo sarebbe opportuno andare incontro ad un metodo storico di taglio più espressamente psicologico e che tenga presente la posizione dello storico stesso il quale, per quanto limiti la sua ricerca ad un aspetto, seppur circoscritto del tempo passato, vive pur questo con intensità attuale e professionale. La revisione della storia della resistenza potrebbe partire anche da questi presupposti; attraverso un’indagine comparativa degli atteggiamenti psicologici degli uomini che hanno preso parte ad una terrificante guerra civile si potrebbe meglio studiare il fenomeno e avere, anche sociologicamente un più ampio ragguaglio sul periodo che stiamo prendendo in considerazione.

Perché poi, in tutta la storia della resistenza, e in particolare modo di tutto il repertorio delle "testimonianze orali" non si è mai dato ascolto alla parte soccombente? Tale aspetto può essere visto da due angolazioni; innanzitutto la storia della resistenza è stata esaminata semplicisticamente attraverso una visuale di ricostruzioni celebrazionistiche ed unanimistiche che ben poco avevano di obbiettivo(14); pertanto il tutto dovrebbe essere rivisitato dagli stessi storici antifascisti che ammettono che anche la resistenza ha le sue luci e le sue ombre, ma, aggiungiamo noi, le loro ombre sono andate sempre più inscurendosi sino a non farsi più né vedere né sentire, mentre le luci, se vi sono state, vengono attualmente ed in modo esagerato amplificate da potentissimi riflettori. Se la resistenza è stata un grande fenomeno popolare, quale sino ad oggi si è tentato di far credere, non è stato altrettanto grandioso fenomeno popolare l'adesione alla Repubblica Sociale di migliaia e migliaia di giovani arruolatisi volontariamente in quell'esercito e delle centinaia di migliaia di vittime immolate dopo la "liberazione"?

E forse che le luci e le ombre non vi sono state anche per i fascisti?

Indubbiamente concordiamo nel giudizio che è stato dato in risposta ad una lettera scritta al "Giornale Nuovo" laddove si giudica la "dissolvenza usata dall'autore del libro "Quaranta anni di storia montanara" nell'affrontare temi poco graditi al tam-tam resistenziale ancora oggi di moda:

 "pretendere che un membro dell'Istituto Storico della Resistenza di Modena dica "apertis verbis" la verità sui morti ammazzati da ambo le parti nel 43-45 e oltre, sarebbe come pretendere che Paolo Spriano ricostruisse la storia del Pci senza scantonare sugli episodi nocivi al buon nome dell'Istituto che lo finanzia"(15)

 Il secondo aspetto del problema è nell'impossibilità, da parte comunista o antifascista in genere, ma anche da parte della stessa componente fascista, di avere delle chiare testimonianze su tutto quello che è stato il fenomeno partigiano sia in montagna che in pianura. Nessuno o pochissimi sono disposti a fare dichiarazioni che siano contrarie al cliché creato nelle nostre zone dal PCI; nessuno è disposto a sollevare quel pesante velo di omertà creato con le minacce e la paura, che ancora incombe, malgrado siano passati tanti anni, sulla maggioranza dei fatti e degli episodi della storia partigiana in Modena e Provincia.

Come è possibile in queste condizioni, poter parlare di obbiettività storica e non di manipolazione della stessa del periodo dei seicento giorni della RSI nel modenese?

   

NOTE

 1   cfr. tutta la bibliografia di parte antifascista; a Modena opera da molti anni a questa parte, e con buona dovizia di mezzi e finanziamenti, un Istituto Storico della Resistenza che ha dato alle stampe numerosissime pubblicazioni ed ha organizzato un altrettanto numerosa serie di convegni e conferenze sempre a senso unico.

2   cfr. G. Pisanò: " Storia della guerra civile in Italia".

3   cfr. lettera pubblicata sul "Giornale Nuovo" e relativa risposta del Direttore Indro Montanelli del 3 Maggio 1981

4   cfr. svariate pubblicazioni: nelle nostre zone i capi della guerriglia erano quasi esclusivamente uomini del PCI.

5   cfr. E. Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino" pag. 83.

6   cfr. "Giornale Nuovo" del 18 Novembre 1980.

7   ibidem

8   cfr. "Il resto del carlino".

9   La quasi totalità dei dibattiti che sono stati fatti e in convegni locali ma anche nazionali, in sale o alle televisioni, anche in questi ultimi periodi di maggiore tolleranza, sono quasi esclusivamente tenuti da esponenti antifascisti o da ex combattenti della resistenza e molto raramente, se non in convegni esclusivi, vengono ascoltate voci e testimonianze di chi ha partecipato o combattuto nei ranghi della RSI.

10  E' da notare che le opere maggiormente obbiettive su quel periodo sono quasi tutte di autori stranieri.

11  Ad esempio: "Quando eravamo i ribelli", oppure: "L'an n'era menga giosta" e anche "La storia della resistenza a Modena" ecc. ecc.

12  Anche le microstorie locali dovrebbero avere una visione più obbiettiva e si dovrebbe andare alla ricerca anche delle eventuali fonti orali dell'altra parte ; sempre laddove è possibile, poiché è ancora molto forte la paura da parte di chi potrebbe parlare in modo difforme dalla retorica di regime.

13  cfr. A Besançon in: "Storia e psicoanalisi".

14  cfr. Lettera dello storico dell'Istituto Storico della Resistenza di Modena, P. Alberghi, pubblicata nella cronaca di Modena del "Giornale Nuovo" del 10 Marzo 1981.

15  Paolo Spriano, recentemente scomparso, era uno storico legato al Partito Comunista Italiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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