Introduzione

GUERRA CIVILE NEL MODENESE

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Introduzione

 

Per oltre quindici anni le pagine di questo libro, pensate e scritte con lo scopo di far conoscere all’opinione pubblica un quadro, accettabilmente esauriente, del periodo della guerra civile in territorio modenese e fuori dei luoghi comuni del più vieto conformismo “resistenziale”, sono rimasti chiuse in un cassetto per le enormi difficoltà, sempre incontrate, a trovare editori disposti ad assumersi la responsabilità nell’affrontare argomenti inerenti un periodo storico visto, da sempre, in chiave manichea ed unilaterale e strumentalizzato ai fini politici da una sola parte.

Si aveva intenzione, sin da allora, affrontando questo tema e rivisitando la vasta messe di pubblicazioni della storiografia antifascista relativa al microcosmo storico della Provincia modenese, di dare un contributo a superare il discorso della guerra civile, affrontandolo anche dal punto di vista della parte soccombente onde controbilanciare l’enorme pubblicistica proposta a piene mani da coloro che, aggregandosi allo strapotere delle forze armate anglo americane, i veri vincitori della seconda guerra mondiale, si sono trovati a beneficiare di un risultato ottenuto scatenando all’interno della nostra Patria una lacerante e sanguinosa lotta tra fratelli.

Per poterlo impostare, tale problema, era ed è ancor oggi opportuno, che anche dalla parte dei perdenti si potesse, quantomeno, mettere sul piano della discussione storiografica, una visione obiettiva e anch’essa sfoltita di tutti gli aspetti agiografici della storiografia di parte fascista.

Nel nostro territorio pochissime ricerche sono state fatte da questa componente e quel poco in forma ridotta e non completamente documentata oltre che limitata, nella sua divulgazione, ad un ristretto settore dell’opinione pubblica che in realtà, quel periodo storico lo conosce per averlo vissuto sulla propria pelle.

Il nostro è un tentativo di divulgare la storia di quegli anni, da un punto di vista il più possibile obiettivo, essendoci basati fondamentalmente su notizie di cronaca, onde contrastare l’imperante storiografia “resistenziale” sovvenzionata e manipolata, in grandissima parte, dal Partito Comunista.

Il crollo del comunismo in Europa e nel mondo, ma non ancora del tutto digerito in Italia, che solitamente arriva con anni di ritardo ai grandi appuntamenti della storia, ha portato molti storiografi ed ex-intellettuali della sinistra, sempre opportunisti in verità, alla ricerca del superamento e della discussione critica del periodo storico della Repubblica Sociale Italiana e di converso della resistenza.

La strumentalizzazione portata avanti per cinquanta anni dal gruppo di partiti politici facenti parte del cosiddetto “arco costituzionale” oltre che dagli incensatori acritici della resistenza, ha mostrato la corda. Della “fede”, nella quale si sono riconosciuti, crogiolati e ben pasciuti i seguaci dell’imperialismo russo e del capitalismo americano, è rimasto ben poco.

E’ anche vero che in brevissimo tempo si sono rivoltate interpretazioni storiche che sino ad ieri sembravano dogmi assoluti; oggi si possono leggere analisi e giudizi sulla resistenza, da parte d’ex partigiani o d’antifascisti che, sino ad ieri, sarebbero stati considerati come farneticazioni o eresie dei soliti “nostalgici fascisti”.

La rivisitazione di tanti aspetti e di tanti personaggi del fascismo, anche del periodo della RSI, attuata da autori che non hanno mai avuto simpatie per quel movimento e che ovviamente continuano a prenderne le distanze è sintomatico di una volontà di ripercorrere con nuove, per loro, e più obiettive valutazioni la storia di quegli anni tormentati.

Gli storici che prendono in esame gli anni del fascismo, in modo particolare la sua ultima appendice della RSI, e che sono chiamati, con un termine non corretto a nostro parere, “revisionisti”, stanno svolgendo un lavoro di notevole interesse e d’enorme portata storica.

Scrollatisi di dosso le logore impostazioni di una certa cultura della sinistra, che, attenzione, allora sembrava quella vincente, molti autori, tra i quali citiamo, Renzo De Felice, Domenico Settembrini, Franco Bandini, Giordano Bruno Guerri, Romolo Gobbi ed altri, hanno iniziato a “studiare” il Fascismo con maggior approfondimento, scoprendo che, in realtà, non fu poi quel “fenomeno demoniaco “ che per lunghissimo tempo si è voluto fare apparire e che moltissimi uomini di quel tempo furono degli statisti d’alto livello e dei politici estremamente validi sul piano nazionale ed internazionale e che la vita italiana ebbe in quegli anni un formidabile sviluppo sul piano sociale e culturale.

E’ bene pertanto che sul versante opposto si cominci a superare il concetto d’anticomunismo fine a se stesso; concetto che, con il crollo dell’impero sovietico, sebbene abbisogni ancora di studi maggiormente approfonditi per capirne meglio il fallimento, va notevolmente ridimensionato dato che sarebbe estremamente riduttivo considerare il fascismo solamente in funzione di un anticomunismo viscerale, poiché, non bisogna dimenticarsi, che esso nacque come espressione ideologica da contrapporre, principalmente, al liberal-capitalismo, onde superare poi i due aspetti conflittualmente negativi dello scontro tra questa concezione e quella marxista della lotta di classe.

Ma per far questo è necessario che si possa conoscere la storia in modo corretto e ricominciare a leggerne, nei suoi giusti termini, tanti aspetti compreso il “mito della resistenza”.

Queste pagine sono dedicate alla rivisitazione storico-cronologica del periodo 43-45 in Provincia di Modena ed è bene sottolineare che la ricerca è stata condotta consultando, quasi esclusivamente, ovviamente in forma critica e di aggiustamento dei fatti, la vasta storiografia resistenziale ed in minima parte, anche perché pochissimo esiste, la ridotta storiografia locale di parte fascista.

Un altro dato che vorremmo mettere in evidenza è la persecuzione dei fascisti, iniziata da tutte le componenti del CLN in periodo di guerra civile, portata avanti poi, dai nipotini di questa “partitocrazia” dell’arco costituzionale, sino ai giorni nostri.

Coloro che, negli ultimi cinquanta anni e in particolare nelle nostre zone, hanno espresso idee, opinioni e prese di posizione contrastanti il potere demo-comunista costituitosi e radicatosi sino alle manifestazioni più perverse di ruberie e collusioni mafiose, ha subito in continuazione l’ostracismo e la messa al bando in un modo così subdolo e persecutorio da far scomparire le forme di censura messe in atto durante il ventennio contro gli antifascisti, in poche parole, terminate le condanne a morte dell’immediato dopoguerra erano comminate condanne tacite di morte civile a coloro che si trovavano fuori dal coro incensatorio del regime partitocratico.

E’ giunto il tempo di uscire da quel tunnel di menzogne nel qual è stato tenuto il popolo italiano in questi ultimi decenni e fare in modo che le nuove generazioni abbiano la possibilità di valutare correttamente, facendo i dovuti confronti, le interpretazioni storiche delle due parti in lotta e rendersi conto di come si comportarono gli italiani, non solo quella piccola minoranza che si accodò poi al carro del vincitore, ma anche di coloro che ebbero l’onestà ed il coraggio di restare sulla barricata più difficile e comprendere pertanto cosa fu realmente la guerra civile e come fu trasformata in guerra di liberazione più con le parole del dopoguerra che con la realtà dei fatti; anche per vedere finalmente chiuso quel capitolo di storia italica, ma in modo possibilmente corretto ed obiettivo e non nella forma manicheista con la quale sino ad oggi sono state educate tante generazioni.

E’ altresì interessante oggi, leggendo tanti storici con chiara matrice di sinistra che nei lunghi anni del conformismo “resistenziale” imperante contribuirono a creare quel mito, vedere come questi cerchino di adattarsi ai tempi nuovi, rivisitando in un ottica che sino a l’altro giorno poteva essere definita “fascista”, quel tragico periodo della guerra civile.

Nella vasta messe di testi, che però rimangono ai margini e non sono pubblicizzati in modo quanto meno paritetico a quelli incensatori della resistenza, troviamo dei passaggi significativi, alcuni dei quali andremo a citare, come questo ad esempio, riportato nella presentazione del libro di Romolo Gobbi, “Il mito della resistenza”.

 

“Nel dopoguerra l’Italia ufficiale ha dato corpo al mito della resistenza per ricostruire una identità nazionale e per assolvere i suoi cittadini dalla colpa di essere stati in larghissima maggioranza fascisti e di essere scesi in guerra a fianco della Germania hitleriana”

 

Ancor più interessante è l’opinione di un ex partigiano combattente, certo Francesco Montanari, che in questo modo si esprime nei confronti dei suoi compagni di viaggio del periodo della guerra civile:

 

“Questa Repubblica nata dalla resistenza è marcia, come lo fu anche la resistenza, infatti, la maggioranza dei partigiani era costituita non da idealisti, ma da renitenti e poi da malfattori del tipo degli onorevoli comunisti Moranino e Silvio Ortona o da figure esecrabili come la medaglia d’oro Bentivegna e “Compagni”......

La maggior parte delle imprese eroiche dei partigiani comunisti consistettero nell’uccisione di qualche tedesco isolato per poi darsi a precipitosa fuga, pur sapendo che, così, la popolazione civile avrebbe dovuto pagare dolorose conseguenze.....omissis........ I comunisti, come ebbe a dire Edgardo Sogno, lottarono durante la resistenza non tanto per liberare l’Italia dal tedesco invasore o dal fascismo, quanto per poter installare, finita la guerra, la dittatura comunista.”

 

E’ pertanto opportuno che la componente che rimase sconfitta in quel tremendo scontro di uomini e di ideologie possa anch’essa, senza voler rinfocolare odi e vendette, anzi per superare tutti gli steccati, partecipare al dibattito storiografico e in modo particolare nel territorio modenese dove, pur sempre, il fascismo, sia originario, che del regime del consenso, si era fortemente radicato e che poi nel breve volgere di tempo si cercò di estirpare radicalmente e i modenesi, dopo essere stati tutti o quasi, fascisti, diventarono tutti o quasi, comunisti.

Vi è stato in questo ribaltamento storico un aspetto che non deve essere trascurato e che andrebbe maggiormente approfondito. Gli abitanti della nostra Provincia aderirono sin dagli anni ‘20, in modo entusiastico, al fascismo e diedero una grandissima partecipazione popolare anche nel periodo della RSI.

Questa partecipazione era veramente sentita poiché vi era stata la convinzione, in modo particolare da parte del popolo e delle classi meno abbienti, che quel movimento potesse portare, come realmente fece seppure non compiutamente, le masse operaie e contadine fuori da quello stato di arretratezza e di miseria nel quale erano rimaste da sempre, attraverso tutte quelle realizzazioni sociali che portarono il fascismo all’avanguardia nel mondo.

Nel dopoguerra, dopo la sconfitta del fascismo, queste classi sociali furono facile preda della falsa ideologia comunista che predicava l’eguaglianza e la lotta di classe. Però le cose non andarono nella direzione programmata dalla classe dirigente comunista che aspirava alla realizzazione di un perfetto regime di tipo sovietico, e pur trincerandosi dietro alle truculenti formule del più rozzo comunismo di quei tempi, si adeguarono alle impostazioni delle formule liberal-capitaliste traendone tutti i vantaggi, in modo particolare nel nostro territorio, impostando una fittissima ragnatela di interessi economici da far invidia al più sfrenato capitalismo; nello stesso tempo restavano legati al comunismo di stampo sovietico che, nel frattempo, portava danni irreparabili nelle nazioni dove imperava con il terrore.

Sono poi, ovviamente, rimasti ancorati al mito della resistenza e della cosiddetta unità antifascista che nella realtà dei fatti è servita a far entrare in Italia e prepotentemente, quel sistema liberal-capitalista agganciato e colluso alla mafia siculo americana che dichiaravano di voler combattere.

E’ dai tragici giorni della guerra civile che è scaturito il sistema che ha retto, nelle forme che andiamo sempre più scoprendo, attraverso il lavoro della magistratura, il nostro Paese, che finalmente ha iniziato un processo di revisione, cercando di rovesciare quella prima Repubblica che non vuole morire, ma che i risultati elettorali del Marzo 1994 hanno cominciato a sgretolare.

E’ stata quella classe politica, forgiatasi con la forzata penetrazione della mafia in Sicilia con lo sbarco americano del 1943, a portare allo sfascio completo la società italiana che, malgrado quel potere disonesto ed irresponsabile, era pur riuscita, con l’operatività dei suoi uomini migliori, a raggiungere ottimi traguardi.

Vogliamo inoltre sottolineare che, con quest’iniziativa, non intendiamo scavare ulteriori fossati, bensì vorremmo portare un contributo a quel dibattito, civile e sereno, che si dovrebbe instaurare per giungere finalmente alla vera pacificazione nazionale.

E’ altresì evidente che, se di rappacificazione si deve parlare, essa debba essere interpretata pariteticamente; la buona volontà ed il coraggio per superare questo steccato deve esserci da parte di tutti. Si tratta solamente di lasciare alla storia gli avvenimenti di quei laceranti anni di guerra civile, abbandonando tutte le strumentalizzazioni politiche.  

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