La repubblica di Montefiorino

GUERRA CIVILE NEL MODENESE

 

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La Repubblica di Montefiorino

LA REPUBBLICA DI MONTEFIORINO

 Degli avvenimenti del Giugno-Luglio 1944 nella zona di Montefiorino, la propaganda comunista e resistenziale in genere hanno creato uno dei punti cardine dell’"epopea", facendoli passare tra gli episodi più espressivi, dal loro punto di vista, di tutta la guerra civile. Esaltandoli in tempi a noi vicini con un continuo proliferare di pubblicazioni e di celebrazioni tendenti a mitizzare quella che fu chiamata, molto pomposamente: "La repubblica di Montefiorino".(1)

E' giunto il momento, sebbene a tanta distanza di tempo, di esaminare con obbiettività i fatti che portarono quella zona dell’Appennino modenese, in primo piano delle due parti in lotta in quel drammatico periodo e che furono, per le popolazioni del luogo, fonte di tremendi lutti e di terribili distruzioni.

Abbiamo visto come nel mese di Maggio e nei primi quindici giorni di Giugno, rispetto ai mesi precedenti, la guerriglia fosse aumentata d’intensità con un succedersi sempre più frequente, d’imboscate ed agguati alle truppe tedesche e fasciste. Sia in pianura sia in montagna i partigiani, alimentati in continuazione dai lanci aerei anglo-americani, che sull'onda del successo ottenuto e dallo sbarco in Normandia e dall'avanzata sul suolo italiano con la conquista della capitale, fomentavano sempre più la guerra civile, cercando di creare in questo modo il maggior danno possibile alle retrovie tedesche, di conseguenza i "ribelli", aumentano decisamente le loro azioni:

 "Armi automatiche, soprattutto americane come il famoso fucile mitragliatore "Thomson" e l'altrettanto famosa pistola mitragliatrice "sten" (inglese), scendevano veleggiando dal cielo con i grande paracadute di seta bianca o colorata: particolarmente nell'Appennino tosco-emiliano per le formazioni partigiane collegate con le missioni alleate, ed ebbero un particolare impiego nella serie dei combattimenti di Montefiorino."(2)

 In questo proliferare d’agguati, imboscate ed uccisioni e per il maggior concentramento in quelle zone di partigiani comunisti che raggiungevano qualche migliaio d’uomini, appunto ben forniti d’armi dai lanci paracadutati, oltre ad un battaglione sovietico composto da ex prigionieri fuggiti dai campi di concentramento dopo l'8 Settembre, i piccoli presidi fascisti della Valle del Dragone, per meglio organizzarsi attraverso una tattica che li avrebbe dovuti riportare a presidiare con maggiore sicurezza quei territori, furono costretti ad abbandonare i loro capisaldi.

I capi comunisti avevano deciso di concentrare in queste contrade, a potenziamento della brigata "Roveda", tutte le nuove leve partigiane, assieme a quelle comandate da "Armando" in modo da costituire un grosso reparto che doveva prendere il nome di "Prima Divisione Garibaldi".

Il Comando Provinciale della GNR, costatando le notevoli difficoltà a mantenere i collegamenti con i piccoli presidi di quelle zone della montagna modenese, già dal 15 Giugno aveva ordinato il ripiegamento da Montefiorino a Piandelagotti.

In quel giorno, tutta la zona che va’ da Prignano Secchia sino a Nord di Piandelagotti, escluso il paese di Montefiorino, era praticamente sguarnita dalle forze italo-tedesche e per diretta conseguenza, sotto controllo partigiano; i comandi di questi erano entrati in un vero e proprio clima d’euforia, avendo avuto in mano senza eccessivi sforzi e praticamente senza colpo ferire, un vasto territorio di oltre 700 Km. quadrati.

I fronti tedeschi in Italia e nelle altre zone europee, intanto cedevano sotto la pressione angloamericana; i presidi militari della Valle del Dolo e del Dragone si erano allontanati e anche quello di Montefiorino, composto da circa sessanta uomini, stava per abbandonare la Rocca; migliore occasione non poteva capitare alle bande partigiane. Nacque così l'idea, a conferma delle tesi della non programmazione di tali avvenimenti, di costituire, (com’era già avvenuto in altre parti d'Italia dove zone "franche" venivano chiamate repubbliche partigiane) un territorio libero che, solo a posteriori, sarà chiamato "Repubblica di Montefiorino".

Il giorno 17 Giugno si prepara da parte delle forze "ribelli", la "liberazione" di quel centro:

  "la situazione era piuttosto favorevole, i vari presidi circostanti erano fuggiti e le forze partigiane avevano circondato l'ultimo drappello nemico rimasto in montagna".(3)

 Ma non tutti i partigiani erano d'accordo se attaccarlo oppure attendere la partenza del presidio che aspettava il momento buono per ripiegare, come gli era stato ordinato. Prevalse la tesi dell'azione, anche perché la sproporzione delle forze era enorme: migliaia di "ribelli" concentrati in quella zona e solamente sessanta fascisti asserragliati nella Rocca di Montefiorino.

All'alba del giorno 18 Giugno i partigiani "sferrano" l'attacco; il gruppetto di militi fascisti oppose una debole resistenza cercando di sfuggire all'accerchiamento e in quella piccola schermaglia vi fu un solo caduto di parte fascista, mentre tutti gli altri vennero catturati per essere poi, nella maggior parte, trucidati dagli occupanti.

Così i partigiani entrarono in Montefiorino:

 "....io Balin, ed alcuni altri partigiani arrivammo davanti al portone d'ingresso della Rocca. A quel punto Balin mi fermò "mi hanno detto che la Rocca è minata: lasciamo andare avanti Levoni ( un prigioniero fascista poi fucilato ). " No dico io, entriamo prima noi e Balin mi saltò davanti "lascia che vada avanti io ecc"..; con una mano lo spinsi indietro, " No sono io il più elevato in grado ed ho il diritto di entrare per primo nella Rocca." Entrai sventagliando una raffica di mitra. La Rocca era ormai abbandonata e vuota."(4)

 Hanno inizio così i quarantacinque giorni della "repubblica rossa" con a capo il partigiano Teofilo Fontana, in qualità di Sindaco.

 "La popolazione, che pure veniva accusata di simpatia verso i fascisti, ci accolse con entusiasmo ed in realtà si sentiva liberata dallo stato d'incertezza tra fascisti e partigiani."(5)

 Va’ detto però, che per il paese giravano centinaia di partigiani armati e pronti a tutto, e le popolazioni della zona erano bene al corrente di come questi non andassero tanto per il sottile, dato che bastava un nonnulla o un piccolo sospetto per essere passati direttamente per le armi.

Alla notizia che dietro le linee tedesche si era costituita una "zona partigiana", il Comando angloamericano provvide ad inviare una numerosa missione con il compito di stabilire dei collegamenti.

Assieme al massiccio invio di materiale aviolanciato, si cercò di elaborare un piano che avrebbe dovuto fare di quella "zona libera" un elemento strategicamente decisivo nel quadro dell'offensiva verso la valle del Po’.

Lo stesso partigiano "Armando", definì questo piano, "effettivamente ambizioso", sottolineando inoltre di quanto i tedeschi fossero allarmati per questa situazione.

Nelle numerosissime opere sulla resistenza, il mito della Repubblica di Montefiorino viene raccontato in tutti i risvolti, anche i più banali; si va’ a sottolineare l'opera attiva e feconda degli uomini che si erano venuti a trovare in questo territorio, vengono raccontati i vari problemi quotidiani, quali l’approvvigionamento viveri, il funzionamento dell'Ospedale di Fontanaluccia, il problema dei mezzi di trasporto e delle officine, oltre a come vennero portate avanti le operazioni per effettuare sbrigative elezioni.

Ma ben poco spazio viene dato all'argomento giustizia e di come funzionarono i cosiddetti "tribunali del popolo", oltre a nascondere il trattamento riservato ai prigionieri, tedeschi, fascisti o presunti tali. Si avrà modo di vedere dettagliatamente nella parte cronologica quanti furono, e in quale modo, gli uccisi in quei giorni di "pieno rispetto delle libertà democratiche".

Bisogna, tra l'altro, mettere in evidenza che, contrariamente a quanto era avvenuto sino a quel momento, in tutta la Provincia modenese, dove i fascisti o presunti tali venivano uccisi solo da mano comunista, quanto invece accadde a Montefiorino, dove tutti i partiti politici che componevano il CLN, si trovarono concordi nelle condanne a morte dei prigionieri. Certa storiografia resistenziale rileva come i comandi militari partigiani procedessero molto spesso a delle vere e proprie "purghe" di tipo staliniano, fucilando oltre a nemici dichiarati e "spie", anche partigiani "indegni"; e con questa definizione potevano essere "giustiziati", sia delinquenti comuni, ma anche personaggi scomodi politicamente. La storiografia resistenziale, pur precisando che, in fondo, certe decisioni di giustizia sommaria erano isolate e prese da pochi, si compiace che a Montefiorino la decisione di uccidere i fascisti, fosse presa all'unanimità.(6)

 "Ora invece queste gravi deliberazioni erano assunte con la piena responsabilità di tutti, perché nel Tribunale Militare di Montefiorino tutte le correnti politiche del CLN erano rappresentate."(7)

 Molti religiosi hanno rilasciato testimonianze, agli storiografi resistenziali, alquanto significative circa il modo di amministrare la giustizia in quella "repubblica"; ne citiamo alcune:

 "Un giorno seppi che a Montefiorino il Tribunale partigiano aveva condannato a morte degli uomini. Venne con mè Don Benedetto Richeldi e ci recammo subito al Comando. Rammento che c'era colui che diventò poi Sindaco a San Felice. Domandai di poter vedere questi condannati e fui io che dovetti avvertirli che sarebbero stati fucilati. Li esortai a prepararsi alla morte. Dopo scene di disperazione e di pianto si confessarono e mi consegnarono dei biglietti da fare avere ai loro parenti cosa che feci naturalmente subito."(8)

 Don Giuseppe Guicciardi, Cappellano a Gombola, nel raccontare dell'episodio di un fascista "torturato" dai partigiani, rimproverò "coraggiosamente" il comandante partigiano "Tom", con queste parole:

 "Non dovete imitare i nemici nelle cose peggiori che fanno, anche se sono i vostri compagni di lotta che sopportano delle crudeltà. Se dovete fucilare qualcuno, fatelo, ma non torturate nessuno. E questo quì, che ha avuto la sua parte, lasciatelo ora in pace."(9)

 In un altra storia, delle tante, che raccontano i "fasti" della resistenza, così si parla dell'esecuzione di altri fascisti:

 "Il 26 Giugno 1944 "Don Luigi" (Don Elio Monari) confortò con i sacramenti quattro sergenti repubblicani che vennero giustiziati a Pianellino. Il 29 Giugno altri tredici tra repubblichini, borghesi e tedeschi furono giustiziati ma non fu avvisato e lo seppe a esecuzione avvenuta con suo grave dispiacere. Nella predica del 29, festa di San Pietro e Paolo disse parole un pò forti alludendo ai fatti del mattino."(10)

 Non può sfuggire, a coloro che si sono cimentati nella lettura della storiografia resistenziale in genere, siano essi stati attenti lettori o superficiali, quanta importanza abbia in quelle storie il lessico usato, in particolare quando si tratta di prendere in esame l'uccisione di fascisti militari o borghesi che fossero. Il fascista viene sempre "giustiziato", mentre il caduto partigiano viene sempre, "barbaramente trucidato" dai nazi-fascisti; di conseguenza viene evidenziata l'equazione, giustizia partigiana, giusta ed infallibile, al contrario i vinti erano solamente dei barbari.

In merito alle fucilazioni dei fascisti di Montefiorino è molto interessante la versione che viene data da uno dei principali responsabili di queste, in un’intervista pubblicata su di un testo resistenziale:

 "Domanda: a Montefiorino si pose realmente anche il problema dei prigionieri. Se prima era neccessario fucilarli, perché troppo pericoloso sarebbe stato trascinarseli dietro, ora esisteva una prigione, la possibilità di giudicarli con calma, magari di inviarli oltre le linee, dagli alleati.

Risposta: Il problema dei prigionieri era prima di tutto militare. La guerra di repressione da parte dei nazisti e dei fascisti si era sviluppata sulla base del terrore che mirava togliere alle masse popolari ogni spirito di ribellione ed ogni iniziativa di lotta. Con la conquista di Montefiorino e la cattura dei prigionieri noi dovevamo rispondere a quella azione di repressione, dovevamo prendere delle misure che significassero la radicalizzazione della lotta con l'esclusione di qualsiasi connivenza o accordo con la repressione nazifascista. Non dimentichiamo che i fascisti, attraverso intermediari, avevano cercato con noi un accordo sulla base di un reciproco rispetto delle zone d'influenza. In altre parole i tedeschi e i fascisti offrivano una tregua se i partigiani si impegnavano a rimanere nelle loro zone senza attaccare i fascisti ed i tedeschi delle zone che premevano a loro, cioè le vie di comunicazione. La liberazione di tutti i prigionieri di Montefiorino avrebbe significato una debolezza da parte delle forze combattenti partigiane che avrebbero dimostrato di cercare così un modus vivendi con le forze della reazione; sarebbe stato come un primo passo di avvicinamento. E noi questo non lo volevamo. Dei prigionieri fatti a Montefiorino ne abbiamo fucilato la metà e precisamente quelli che erano volontari e quelli che si erano compromessi nelle reazioni precedenti; mentre invece liberammo quei militi che risultavano giovani e di leva questo come incoraggiamento a fuggire per gli altri giovani costretti con la violenza ad entrare nelle forze repubblichine. D'altro canto l'esecuzione dei vecchi significava la radicalizzazione della lotta, significava il rifiuto di qualsiasi compromesso, di qualsiasi intesa con le forze della reazione."(11)

 A proposito dei prigionieri fascisti di Montefiorino, un ulteriore testimonianza, sempre tratta dai testi resistenziali, riferisce di incredibili torture inflitte a tedeschi, italiani, militari e civili: racconta di giovani legati ai polsi e appesi in punta di piedi, lasciati in quella posizione sino a quando la circolazione del sangue ne veniva bloccata, poi slegati e selvaggiamente percossi per giorni e giorni ininterrottamente prima della loro esecuzione.(12)

Il Parroco di Gusciola di Montefiorino, Don Angelo Santi, in una sua testimonianza, cita la tragica fine di alcuni fascisti di Montefiorino compresa quella di certo Martini Ercole e della di lui moglie bruciata viva nella casa cui avevano dato fuoco, in quanto non aveva voluto aprire ai partigiani rossi.(13) Arriviamo così alla metà di Luglio; secondo alcune tesi, anche di parte fascista, il Comando tedesco, forse sopravalutando il grado di efficienza della brigata partigiana che teneva in mano Montefiorino e per non togliere dal fronte e dai punti "caldi" un certo numero di soldati da impiegare in un’azione nelle retrovie, inviò al Comando partigiano un Ufficiale incaricato di trattare una tregua.

Le proposte tedesche offrivano al Comando del CLN la sospensione di ogni operazione offensiva nel territorio da loro controllato ed inoltre si sarebbero impegnati a rilasciare tutti gli ostaggi, sia civili che militari, già nelle mani dei "reparti di sicurezza".(14)

In cambio i tedeschi chiedevano: a) il rilascio di tutti gli appartenenti alle forze armate tedesche (venti tra Ufficiali e soldati ) in mano ai partigiani; b) i partigiani si dovevano impegnare a non disturbare il traffico militare tedesco sulle arterie di grande comunicazione; c) porre termine alle azioni repressive contro tutti quelli che, fascisti e non, collaboravano con il Reich.

La risposta del CLN fu negativa. I comandi partigiani ritennero che quell'offerta fosse una debolezza tedesca e che questi non avrebbero più avuto la forza di far cadere il libero territorio che si era venuto a trovare nelle loro mani in modo del tutto imprevisto. Lo stesso partigiano "Armando" scrisse testualmente, in risposta alle domande tedesche: "Noi saremo pronti a trattare con voi quando dimostrerete la volontà di abbandonare il nostro paese. Non prima."

Quali conseguenze portò la decisione del CLN e l'enfatica risposta del comandante partigiano, alle popolazioni del luogo e allo stesso schieramento antifascista, avremo modo di costatarlo in seguito, successivamente a quella che fu definita, "la battaglia di Montefiorino".(15)

Di un altra tesi, alla quale però è difficile poter dare le necessarie conferme storiografiche per l'impossibilità di avvicinarsi agli archivi che detengono ancora molto materiale tedesco e fascista ed anche perché molto di questo è andato perduto, si parla, da parte di coloro che facevano parte dell'esercito repubblicano.

Si tratterebbe di un vero e proprio piano preordinato per creare i presupposti, vista la situazione contingente, da parte dei Comandi militari tedeschi e fascisti, affinché la maggior parte delle bande partigiane, che operavano sulla montagna modenese e reggiana, si raggruppasse in un unica zona per poter poi sferrare l'attacco decisivo per sconfiggerli e catturali. E difatti un concentrato di truppe irregolari, come in realtà accadde, ben poco avrebbe potuto fare contro truppe ben preparate ad affrontare la vera battaglia, anziché la guerriglia.

Anche se questa tesi sembra assurda, pensando a quanto fecero pervenire ai comandi partigiani, i tedeschi, e sulla base delle loro proposte che non vennero accettate, bisogna pur tener presente che queste avvennero alla metà del mese di Luglio, cioè oltre un mese dopo che tutti i presidi fascisti della zona avevano abbandonato le località della Valle del Dragone e che probabilmente vi furono dissensi e contrasti sul modo di condurre l'operazione tra i Comandi tedeschi e fascisti.

Sarebbe questo un argomento da approfondire con maggior chiarezza, poiché i presupposti per dar corpo a questa tesi non sono del tutto ipotetici. Nei paesi attorno a Montefiorino si era concentrato il maggior numero di formazioni partigiane della montagna modenese e reggiana e per questi due motivi fondamentali: in primo luogo i depositi di armi, in particolare tutto l'armamento dei cadetti dell'Accademia Militare di Modena, abbandonato in quelle zone dopo l'8 Settembre e diventato facile preda da parte dei primi gruppuscoli e che aveva creato nei mesi precedenti gravissimi scontri tra pattuglie tedesche e fasciste e bande di ribelli che portarono poi all'eccidio di Monchio, Susano e Costrignano del mese di Marzo 1944, in secondo luogo perché la zona, fuori dalle grandi linee di comunicazione non aveva valore strategico per i Comandi militari tedeschi e difatti era sguarnita di consistenti concentramenti di truppe tedesche, tanto che gli aerei americani, anche nei mesi precedenti, ebbero la possibilità di rifornire i partigiani con abbondanti lanci di armi e di altro materiale. Aggiungasi che le piccole tenenze della GNR erano composte da pochissimi uomini che, in condizioni normali avrebbero potuto essere più che sufficienti, ma che, a fronte di una così massiccia presenza di uomini armati, le fonti partigiane parlano di circa 5.000 uomini, ben poco potevano fare.

E difatti a scorrere le note della cronaca dei primi mesi del 1944, possiamo costatare a quale continuo stillicidio di attacchi e di perdite di vite umane furono sottoposti i piccoli centri come, Frassinoro, Palagano, Toano, Cerredolo, Prignano ecc., oltre alle numerosissime incursioni, da parte dell'esercito ribelle, cui furono sottoposte decine e decine di abitazioni private. A fronte di quella situazione, il Comando Provinciale della GNR, dalla seconda settimana di Giugno cominciò a provvedere affinché i presidi fascisti si allontanassero da quelle zone. Era collegata questa operazione con il programma che scattò poi, forse mal preparato o del tutto improvvisato, alla fine di Luglio?

E' certo che, dal momento in cui i Comandi fascisti e tedeschi decisero di passare all'attacco e malgrado che l'operazione non sia stata completata secondo i piani prestabiliti, in tre giorni, reparti ben addestrati ed armati, anche se non numerosi, riuscirono a debellare ogni resistenza mettendo in fuga quel grosso concentramento di forze partigiane che avrebbero dovuto essere, "un baluardo imprendibile". Dopo brevi combattimenti, queste formazioni si sparpagliarono in mille rivoli per sfuggire all'accerchiamento e moltissimi passarono le linee del fronte per andarsi a rifugiare presso le truppe anglo-americane.(16)

 NOTE

 1    cfr. E. Gorrieri: "La Repubblica di Montefiorino", pag. 361.

2    cfr. I. Vaccari: "Il tempo di decidere" pag. 252.

3    cfr. L. Casali: "La resistenza a Modena".

4    cfr. O. Poppi: "Il commissario", pag. 79.

5    ibidem

6    cfr. I. Vaccari, op. cit. pag. 256.

7    ibidem

8    ibidem

9    ibidem

10   cfr. E. Gorrieri op. cit. pag. 285

11   cfr. O. Poppi, op. cit. pag. 95.

12   cfr. E. Gorrieri, op. cit. pag. 385

13   cfr. lettera del Parroco Don Angelo Santi, alla Ass. cad. della RSI in data 5 Luglio 1957. In Arch. Ass. Cad.

14   cfr. G. Pisanò: "Storia della Guerra civile".

15   cfr. E. Gorrieri, op. cit. ed altre opere sulla resistenza.

16   ibidem

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cartolina di propaganda bellica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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